LA COMPAGNIA DEI CERCHI BIANCHI
a Ravenna (ai tempi di Dante)

A Ravenna si diceva: «Florentinis ingeniis nil ardui est» (agli ingegni fiorentini niente resta arduo) – così ricorda un incunabolo di Classe (secolo XV). Uno di questi uomini talentuosi fu Dante Alighieri che con i figli si trasferì nell’illustre città nel 1318 e qui morì tre anni dopo. Ma a quel tempo altri suoi compatrioti si erano già stabiliti in tutta la Romagna dove svolgevano “una vasta attività commerciale”. A Ravenna potevano contare nella rada vicina che serviva come “approdo occasionale” per le navi di cereali destinati a Firenze. L’Appennino era la via di transito per spedire costantemente il sale e i tessuti romagnoli erano un articolo “piuttosto richiesto dall’arte di Por S. Maria” – così il Davidsohn nella Storia di Firenze, VI, 886 ss.

Lo storico tedesco ricorda anche la compagnia dei Cerchi Bianchi che nel 1308 ebbe a Ravenna un fondaco, diretto da Lapo Martini. Ne parla pure una pergamena inedita del 1310 contenente un’indagine fatta da un giudice di stanza nel palazzo del Comune. Il motivo? La causa intentata da Berto di Maffeo da Firenze contro Lapo di Marco “olim” (già) fattore della società “Circolorum Alborum in partibus Ravenne” – Ma qui, va detto, leggiamo più volte “Marcii” e non il “Martini” del Davidsohn che ci si sarebbe potuti aspettare.


Leggendo e analizzando la pergamena, troviamo che il giudice competente “ad civilia” (per le cose civili) allora era Bonifacio dei Rigoni da Ferrara, assessore di Guglielmo dei Turchi podestà di Ravenna.
Riguardo alla materia del contendere, si trattava di tre ‘letti’ prestati a pigione da Berto a Lapo e restituiti in parte. Poca cosa, almeno per i criteri di oggi.
L’indagine però fu scrupolosa. Innanzitutto Bonifacio volle accertare se Lapo fosse stato effettivamente il fattore della società dei Cerchi Bianchi (lo era stato), poi se era vero che già da 18 mesi e mezzo “conduxit in prestantia” a pigione e vettura da Berto tre coltrici “de pennis” (materassi di piuma) e tre “pimaccia” (guanciali molto larghi) a 8 soldi ravennati al mese. Anche questo era vero.
Lapo poi aveva tenuto questi oggetti 17 mesi e mezzo, con la promessa di renderli a Berto, ma non si sa per quale ragione “astulit” (aveva asportato) una coltre e un pimaccio. In più non aveva rimborsato quattro lire che Berto aveva speso per lui comprando un paio di pannilini (biancheria) e un paio di “caligarum” (scarpe comode), il tutto consegnato a un certo Berto di Pagno “paritore”, cioè servo (dal latino apparitor, apparitoris).
Questo il motivo della causa civile, per giudicare la quale stabilendo la verità, l’assessore Bonifacio cercò dei testimoni e dette incarico a Iacobuccio, anche lui “paritore” del Comune, di citare le persone indicate da Berto, compresi altri fiorentini dimoranti in città: Vanni di Albicino “qui fuit de Florentia”, Paoluccio calzolaio di Ravenna, Betto Villacuti o Billicuti da Firenze, oltre a Lombardo altro “paritore” del Comune.

Con loro comparve pure una figura nota in città per la sua decennale attività di banchiere: ser Mentano “campsorem” come procuratore di Lapo, che lo aveva costituito con atto del notaio Cello di Peruccio di “Ancisa”. Radunati quindi tutti questi personaggi, il giudice li fece giurare sui santi vangeli, “tacte libro”, con la formula “veritatem dicere ... remoto, odio, amore, timore” – dire la verità escludendo odio, amore o paura.
In quanto alle deposizioni, la maggior parte dei testimoni affermò i fatti noti di cui sopra; solo Lombardo aggiunse informazioni supplementari: che la prestanza dei letti era avvenuta in casa di ser “Luicii” dei Baldi di Ravenna presenti Giovanni, Zarla e Cambino, che stavano a Cesena, e Rosa “famula” (domestica) di Lapo “qui pro nomine dicebat “Thesaureniis” (di cognome Tesorini).

Era il mese di agosto; il giorno Lombardo non lo ricordava. Fu presente però quando Berto richiese i materassi e i guanciali a Lapo e quest’ultimo disse che non li avrebbe ancora restituiti. Erano questa volta in casa di ser Gardino dei Gardini assieme a ser Palmirolo da Gallisterna (castello nella Valle del Senio) e Monza Tarlati notaio da Forlì.

Dopo le deposizioni, sulla carta appare solo il segno del notaio Graziano di Guido dei Brandi da Ravenna. Non si conosce pertanto l’esito dell’indagine e anche le notizie sui fiorentini residenti a Ravenna si fermano qui.

Paola Ircani Menichini, 3 dicembre 2021.
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RICONOSCIMENTI


Le fotografie


– Particolare della statua di Dante Alighieri di Enrico Pazzi (1865), piazza Santa Croce a Firenze.

– La torre civica medievale di Ravenna, da Google maps, Street view.

– Particolare della pergamena del 1310.

– Particolare di Banchieri ebrei, dai Cantici della Vergine Maria, Codice di El Escorial di Madrid, da Medievalists.net.

– Letto medievale, da Pinterest, senza didascalia.


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